Le onde gravitazionali – Una nuova porta sul cosmo
Federico Ferrini
Il Mulino – Collana “Farsi un’idea”, n° 266
anno 2018,
126 pagine
11,00 Euro
Il Federico Ferrini nelle vesti di personaggio istituzionale è ben descritto nella quarta di copertina di questo libro del 2018: astrofisico, normalista, docente di astrofisica all’università di Pisa, in passato direttore dell’Osservatorio Europeo di Onde Gravitazionali (EGO) e attualmente direttore del Cherenkov Telescope Array (CTA); ma, proprio come accade in un locale, quando capita di incontrare amici di amici, prima di sapere cosa si è e cosa si fa nella vita, ci si studia, ci si guarda e si ascoltano i timbri di voce nel tentativo di capire se umanamente si è abbastanza affini da trascorrere una serata assieme, ho rimandato la lettura della “curriculare” quarta di copertina per affrontare subito l’introduzione, anzi, la “premessa”, come l’autore stesso ha deciso di intitolare quelle prime pagine.
E ascoltando, quasi, il timbro della sua voce così come esce dalla breve, ma intensa premessa, è emersa subito la caratura umana del Ferrini, la sua affabilità e la sua passione per la scienza e la sua diffusione.
Una premessa tutta incentrata sul concetto di “viaggio”: un termine che, vuoi per i continui spostamenti dovuti alla sua attività accademica, vuoi per la sua attività di ricerca occupata dallo studio di particelle e onde che, anche loro, viaggiano nel cosmo trasmettendo ovunque il verbo cosmico, caratterizza da sempre la sua vita personale, come anche quella professionale.
Si intuisce così che si tratta di una persona molto alla mano, in grado di raccontare e raccontarsi, amante del proprio lavoro e sempre, nonostante le grandi consapevolezze scientifiche, capace di sorprendersi al cospetto degli spettacoli più pirotecnici che la Natura produce e che a noi è dato solo ricostruire tramite lo studio dei segnali in arrivo qui dal cosmo lontano.
Ed è proprio mantenendo questo tono colloquiale, da cena con amici di amici, che Ferrini introduce il lettore all’importanza dell’evento GW150914: in assoluto la prima onda gravitazionale mai rilevata (la sigla sta per “Gravitational Wave” e riporta di seguito la data della sua rilevazione, in questo caso avvenuta il 14 settembre del 2015) che in questa infima porzione di universo, in un brevissimo frangente di quel giorno di qualche anno fa, ha avuto come unico spettatore Marco Drago: un giovane e brillante ricercatore poco citato nelle pubblicazioni divulgative e mai abbastanza invitato a partecipare a eventi pubblici o a programmi televisivi e radiofonici (dove, immemori del torto simile a suo tempo fatto alla Jocelyn Bell, a raccontare ciò che Drago ha davvero notato per primo invece si interpellano ben altri nomi e facce forse più televisive, ma non per questo “giuste”).
Tra qualche assaggio di storia della scienza, di metodo scientifico e qualche dato più tecnico e generale sulla rilevazione delle onde gravitazionali, il primo capitolo si chiude preludendo così ad altri due che più specificamente si propongono di descrivere, tramite soluzioni e immagini davvero affascinanti – bellissimo il capoverso di pagina 34 in cui si parla della “rigidità del reticolo spazio-temporale” -, la fisica del fenomeno onda gravitazionale a partire da ciò che la Relatività Generale ci ha mostrato.
I capitoli che seguono si rivelano poi preziosi per la facilità con cui conducono il lettore attraverso concetti di alta scienza e tecnologia per il tramite quasi esclusivo di un’ottima prosa: in essi l’autore è particolarmente chiaro; usa idee guizzanti ed espressioni felici nel commentare le poche formule che fanno capolino qui e là e senza le quali la ricetta divulgativa da lui preparata avrebbe un sapore di sicuro meno intenso.
A dispetto delle piccole dimensioni del libro (solo 126 pagine “scritte (abbastanza) grandi”, più otto centrali dedicate a pochi, ma chiarissimi schemi e foto affascinanti) – una scelta che caratterizza una collana di sicuro vincente vista la grande varietà di argomenti trattati, la longevità e il successo di questa iniziativa della nota casa editrice Bolognese -, “Le onde gravitazionali” uscite dalla penna di Ferrini muovono verso il lettore riassumendo magnificamente un ambito di ricerca relativamente nuovo: vagheggiato in tempi non sospetti con le ipotesi di pochi e oscuri illuminati – presto avremo modo di raccontare questi inizi dell’ambito che nel libello qui recensito non trovano… spazio -, il loro possibile studio è stato infatti rilanciato con la necessaria forza da Einstein solo nel 1916 per poi traghettare dal regno della pura speculazione teorica a quello della realtà fisica propriamente detta poco meno di un secolo dopo, sul monitor di Drago.
A modesto e di sicuro non inattaccabile parere di chi scrive, che qui approfitta per esprimere il proprio punto di vista su un argomento cui tiene molto, l’unico neo del libro si cela nell’ultimo capitolo dedicato alle conclusioni finali.
Pur se a partire più o meno dalla terza pagina si trovano altre considerazioni tiepide, ma generalmente condivisibili, nelle prime due un eccesso di ampollosa retorica nel riportare triti concetti già consunti dall’uso che una certa propaganda da terza missione ha sdoganato, stridono con l’essenziale precisione e la formidabile capacità di trovare nuove e felici analogie e spiegazioni che caratterizza le centosedici pagine precedenti.
Quando, infatti, l’autore, oltre a qualche considerazione clickbait, parla di “privilegio di svolgere un lavoro di ricerca” e della divulgazione dei contenuti della scienza da considerare come “carico di lavoro (sottinteso “necessario”, nota mia) di ogni ricercatore”, si rivela ottimo scienziato, ma poco attento sociologo della scienza (credo non possa che essere così), adagiato com’è su posizioni oramai supinamente accettate negli enti di ricerca ma, sempre a parere di chi scrive, da rivedere perché addirittura potenzialmente pericolose.
Intanto il primo punto, quello inerente il “privilegio” di fare ricerca. Mi preme qui sottolinearlo: chi la fa non è certo stato scelto a caso; il suo nome non è stato estratto a sorteggio in una specie di riffa scientifica, pescandolo da una folla in trepidante attesa di sapere a chi sarebbe toccata la rara fortuna di intraprendere l’ambitissima carriera di scienziato.
Chi si occupa di ricerca – una purtroppo piccola percentuale della popolazione nella quale la maggior parte delle persone di solito opta per ben altre carriere – ha studiato tantissimo, perlopiù mantenendosi agli studi attingendo alle casse di famiglie che tanti sacrifici hanno compiuto per mantenere i loro figli durante i lunghi anni di apprendistato, nonché aiutandoli durante quelli spesso ancora più lunghi di precariato. Se di privilegio davvero si tratta, credo sia, al limite, tutto della società che si ritrova ad annoverare persone davvero intenzionate a fare lavori del genere, specie in campo medico.
Ma veniamo al secondo punto.
Quando l’autore afferma “La divulgazione dei contenuti fa parte del carico di lavoro di ogni ricercatore, come pure l’impegno a creare ritorni alla società civile”, sembra sentire suonare un altro segnale di allarme. Infatti, se proprio si insiste nel voler accettare il concetto di “necessaria restituzione alla società del favore che ci accorda nel pagarci lo stipendio per il bellissimo lavoro che svolgiamo”, tutta questa presunta fortuna e tutto lo studio delle sole, singole materie scientifiche non può e non deve autorizzare l’imposizione, o anche solo la promozione d’ufficio, di un altro lavoro: quello del comunicatore della scienza che, come sostiene il Ferrini, assistito in questo anche dalle indicazioni di chi ha elaborato i protocolli di terza missione, deve affiancare all’attività di ricerca propriamente detta.
La comunicazione dei risultati scientifici è un compito difficile, cui ci si prepara con altrettanto impegno, serietà e passione di quello profuso da chi la ricerca la fa. Si tratta di un lavoro che va affinare di continuo e per tutto il corso della vita professionale; un lavoro che richiede competenze specifiche non improvvisabili e per il quale si può essere più o meno portati.
Se non lo si è (Ferrini evidentemente lo è, almeno nella redazione di testi divulgativi), può comportare danni notevoli a quella famosa società che si avvale delle comunicazioni divulgative delle istituzioni. Una società che (stavolta divento retorico io) dovrebbe essere “protetta da”, piuttosto che “inevitabilmente raggiunta da”, “inondata da”, “subissata da” restituzioni senza selezione, quindi spesso, sbagliate, fallate, ideologiche, incomplete, …, brutte.
In conclusione, sempre a parere di chi scrive, due pagine e mezzo decisamente perdibili su centoventisei perlopiù imperdibili, precise, affascinanti, …, belle, fanno di questo libretto un prodotto di sicuro prezioso di cui, se non si è ancora capito, senza dubbio caldeggio la lettura.
Angelo Adamo – INAF/IASF Palermo